Con Dark Mirrors, i Primaluce firmano la loro opera più ambiziosa, un viaggio sonoro che trasforma il virtuosismo tecnico in pura introspezione.
Sette brani che fondono la complessità cerebrale del progressive metal moderno con la melodicità sofisticata del rock sinfonico anni ’70 e una sensibilità emotiva rara nel panorama contemporaneo.
Tra ragione e visione
L’album si apre con “Fractured Reflection”, manifesto dell’intero progetto: un turbine di riff taglienti e tempi dispari che si alternano a momenti sospesi di lirismo. È un brano che parla di identità e frammentazione, un autoritratto sonoro tra tensione e consapevolezza.
Segue “Beneath the Tide”, dove il pathos si fa più atmosferico e la voce interiore affiora tra linee di basso sinuose e tastiere che evocano correnti profonde, quasi liquide.
La title track “Dark Mirrors”, prima delle due composizioni strumentali, rappresenta il cuore concettuale dell’album: un dialogo tra luce e oscurità, costruito su poliritmie intricate, contrappunti chitarristici e synth cinematici che oscillano tra la freddezza del metallo e il calore dell’emozione.

Dal gelo alla catarsi
Nel cuore dell’album, “Falling Through the Rain” mostra la vena più intima dei Primaluce: un brano malinconico ma dinamico, che unisce elementi di prog melodico e metal atmosferico, lasciando emergere una tensione costante tra fragilità e resistenza.
Arriva poi “Aillusions”, seconda strumentale e perfetto contrappunto alla title track: se Dark Mirrors è l’ombra, Aillusions è la luce. I synthwave anni ’80 incontrano le armonie fusion, in un crescendo che si dissolve in pura astrazione cosmica.
“Glass Horizon” riporta la narrazione su toni più terreni e filosofici, con un testo che riflette sul rapporto tra libertà e percezione, in una chiara eco dei Rush più esistenziali.
Chiude il viaggio “The Garden of Glass”, un epilogo teatrale e gotico, dove le chitarre costruiscono architetture barocche e le tastiere diventano il respiro del racconto. È la fine — o forse l’inizio — del ciclo riflessivo iniziato dallo specchio.
Oltre l’influenza, verso la forma personale
Le influenze di Dream Theater, Rush e Enchant sono evidenti, ma non imitazioni: i Primaluce le trasformano in linguaggio personale, equilibrando tecnica e sentimento, ordine e caos, matematica e anima.
Ogni nota di Dark Mirrors vibra come un pensiero riflesso, come se la band avesse trovato il punto esatto in cui la musica smette di descrivere e comincia a rivelare.
Nel mondo del prog metal, dominato da complessità fine a sé stessa, Dark Mirrors è un atto di sincerità: un album che guarda oltre lo specchio, dentro la coscienza di chi ascolta.
