Esistono album che non si limitano a suonare, ma che ti accolgono in un abbraccio di sensazioni, come una lunga passeggiata nella foschia dove la luce danza e le ombre si rivelano. “In the Mist She Was Standing”, il nuovo disco di Primaluce, è esattamente questo: un invito a esplorare le zone più intime dell’anima, dove il silenzio diventa musica e la nebbia una guida.
Dietro il nome Primaluce si cela Stefano Primaluce, un artista italiano che, da Parigi, plasma suoni e parole in un mosaico di emozioni profonde. Questo disco, in uscita il 6 giugno 2025, è un’opera che sfida i confini del progressive metal e del rock, fondendo delicati arpeggi acustici e potenti chitarre elettriche in un abbraccio sonoro che vibra di malinconia e speranza.
Le sei tracce dell’album tracciano una mappa emotiva dove si intrecciano solitudine, mistero e morte. Dall’intro “I Am Nothing”, che risuona come un sussurro intriso di oscurità, fino alla conclusiva “The Hollow Grove”, che ci accompagna verso le radici più oscure dell’essere, ogni canzone è un tassello di un puzzle emotivo.
Le liriche, che accompagnano quattro dei sei brani, sono frammenti di visioni notturne: in “In the Mist She Was Standing”, lo spirito della terra emerge tra la foschia, i suoi occhi specchiano l’anima del mondo, segnando un addio inciso nel vento. In “Let Go the Flame”, la foresta canta un requiem di passi perduti e fiamme svanite. “Black Flowers” è un mare oscuro dove i sogni naufragano e la memoria si fa fragile come un petalo. Infine, “The Hollow Grove” ci conduce in un bosco spettrale, dove le ceneri e le fiamme diventano simbolo di lutto e di attaccamento.
“In the Mist She Was Standing” non è solo un disco: è una dimensione da attraversare, un portale sonoro che si apre su un universo fatto di ombre e luce, di passi incerti e di riflessi d’anima. Primaluce ha creato un’opera densa di atmosfere, capace di evocare i boschi del Nord, le leggende antiche e i silenzi delle cattedrali gotiche.
In un’epoca in cui la musica scorre veloce e spesso dimenticabile, Primaluce ci ricorda che rallentare è un atto di resistenza: ascoltare, immergersi e farsi avvolgere dalla nebbia è un dono raro. E in questo viaggio tra sogno e realtà, è proprio lì — nel cuore della foschia — che la luce torna a brillare.