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Il significato etico delle opere di Nello Petrucci a Venezia

Nello Petrucci ph press

Un percorso creativo tra Pompei e New York dove le mani diventano simbolo universale e l’arte si trasforma in solidarietà e connessione

Nello Petrucci, artista e film-maker tra Pompei e New York, unisce cinema e arte in opere dal forte valore sociale e simbolico. Primo italiano al WTC di New York, ha firmato i premi della cerimonia Ciak alla 82ª Mostra del Cinema di Venezia.

A Venezia hai firmato i premi della cerimonia Ciak. Com’è stato vedere le tue opere diventare simbolo di eccellenza italiana in un evento di tale portata?

«È stata una grande emozione. Quando un tuo lavoro diventa un riconoscimento, prende vita nuova nelle mani di chi lo riceve. È un attestato che premia non solo chi lo riceve ma anche chi lo ha creato».

Le mani sono il fulcro narrativo di questi premi. Qual è il loro significato universale?

«Le mani appartengono al mio progetto “Hands”, che porto avanti da anni. Le considero l’ultimo codice del corpo, un simbolo espressivo universale. Ho realizzato mani in street art, sculture, installazioni esposte anche al Parlamento Europeo e in progetti sociali in Africa. Per noi italiani le mani hanno un valore ancora più forte: sono linguaggio, contatto, costruzione».

Come hai unito il mito dell’impresa e la potenza del cinema in un’unica scultura?

«Attraverso le mani, che rappresentano la manifattura, la creazione. L’Italia è nota per l’artigianato e per il cinema: due mondi che si incontrano nel gesto. Le mani diventano ponte tra queste forze simboliche».

Quale messaggio volevi arrivasse ai premiati, nel momento in cui stringevano la tua opera?

Nello Petrucci ph press1

«Un invito a tendere la mano. In un tempo storico difficile significa solidarietà, aiuto reciproco. Non solo un gesto artistico, ma un simbolo di connessione e speranza».

Molte tue opere hanno un forte impegno etico e sociale. Anche a Venezia c’era questa ambizione?

«Sì. Venezia per dieci giorni è al centro del mondo e permette a certi messaggi di amplificarsi. Io credo nell’arte che aiuta. In Kenya, con un progetto di street art siamo riusciti a finanziare un pozzo che ha cambiato la vita dei detenuti. Questo è il senso del mio lavoro: l’arte come strumento concreto per migliorare la realtà».

C’è un prossimo progetto legato a questo percorso?

«Sì, tornerò in Africa per lavorare con orfani e comunità di anziani. Realizzeremo murales, attività artistiche e persino un pollaio per garantire sostegno alimentare. È il progetto che chiamo Art Help People: l’arte non resta solo estetica, ma diventa supporto reale per chi ha bisogno».

Un tuo premio è arrivato persino a Al Pacino. Che effetto ti ha fatto?

«È stata una soddisfazione enorme. Dopo anni di sacrifici, sapere che una delle mie opere è nelle mani di una personalità così importante del cinema è un riconoscimento bellissimo».

Nonostante il tuo percorso di altissimo livello, una notizia così ti emoziona ancora?

«Sì, sempre. L’emozione è l’unica cosa che non dobbiamo mai perdere. Senza entusiasmo e passione, tutto perde significato. L’arte vive proprio di questo».

A cura di Mario Altomura
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